Commercio vs E-commerce
Il futuro del commercio è davvero online?
Il futuro del commercio è davvero online?
Dopo la sbornia collettiva che ha fatto gridare al tramonto dello shopping tradizionale, con grandi catene fallite sia di fast fashion sia di lusso, e la corsa a costruire ognuna di noi un e-shop, ragioniamo su quanto sta avvenendo.
Lo shopping tradizionale non è morto, benché ridimensionato. Perché quello che sta fallendo è un sistema di produzione legato al magazzino, all’eccesso di inventario, provocato dall’invenduto, causato dalla sovraproduzione, legato all’abbassamento dei costi, al cambiamento dei consumi, alla ricerca dell’esperienza ma soprattutto all’esigenza social di un ricambio continuo (e al suo contrario, fenomeno che cresce), a cui neanche la politica degli sconti riesce più a stare dietro.
Lo shopping online è vivo, ma ridimensionato a sua volta da un grave problema, quello dei resi. E al momento nessuno sa come risolverlo, incluso Amazon.
Non sono le truffe quelle che infatti preoccupano i grandi dell’online, ma i ritorni dei prodotti non voluti. Che sono tantissimi. Con enormi problemi, generati non solo dall’invenduto, ma dai costi aggiunti all’invenduto, che vanno dal packaging ai problemi di logistica all’inquinamento. I prodotti resi non possono quasi mai essere rimessi in commercio, per varie ragioni.
Questa pratica è incentivata anche dal ritorno reso gratuito da tanti brand e dalle spese di spedizione molto basse. D’altra parte quando queste sono alte possono generare vendite minori. E infatti è una pratica adottata solo dai piccoli che appena crescono un po’ cercano di abbassare o azzerare per essere competitivi. E questo riguarda tutti i settori, dalla moda ai prodotti elettronici a quelli domestici.
È di questi tempi la pubblicazione dei dati di un brand di cui si è parlato molto per filosofia e successo ottenuto. Ebbene, i resi superano le vendite…
Al momento nessuno propone soluzioni. C’è chi sta correndo ai ripari bannando clienti che restituiscono in modo seriale (sempre esistiti per altro anche nella distribuzione tradizionale), a chi studia modi per leggere i dati in modo diverso affidandosi completamente alla tecnologia robotica ecc.
Quello che in modo semplicistico si può dire è calcolare i costi nel prodotto quando lo si disegna, ma soprattutto
Tutto questo richiede tempo, perché al momento il consumatore vede l’online come un sistema che richiede la prova in casa, diventato il nuovo camerino.
Questo quanto raccolto in un paio di seminari a cui ho partecipato nell’ultimo anno, e nonostante la distanza di 12 mesi tra un evento e l’altro, le cose non sono cambiate. Però se ne parla di più e studi stanno affrontando il problema generando dati sui resi.
ps come strategia a quanto detto, c’è chi suggerisce di considerare i resi gratuiti come una forma di marketing cost, un modo per impressionare in modo favorevole i clienti e farli tornare. Ma è davvero una soluzione accettabile?
Mi sento di dire di non escludere la distribuzione tradizionale, ma di combinare tutte le alternative possibili, e di costruire questo percorso sin dall’inizio, tenendo presente cosa comporterà in termini di costi finali e margini di guadagno.
Le alternative a questo sistema, possono venire dai piccoli brand slow fashion, la cui filosofia è legata a produzioni in piccole quantità in alcuni casi su ordine, con creazione di proprie tribù di fedeli e di consumatori educati. Se il reso è un problema minore, la questione sopravvivenza per i micro rimane tuttavia la preoccupazione maggiore.